Ho trovato nel respectful parenting tante strategie pratiche per alleviare la fatica di crescere i figli e sviluppare una relazione sana con i miei figli. Eppure scegliere un metodo educativo alternativo richiede coraggio. Alcune delle obiezioni che sento dire sono “Si è sempre fatto così”, “Ogni tanto un bello schiaffo ci vuole”, “Se non li punisci non impareranno mai”. Si pensa che un bambino vada educato e motivato soltanto con minacce e paura, e che anche con punizioni fisiche ed emotive il bambino può crescere “bene”.
A questo proposito, voglio proporvi una riflessione di Kristin Mariella, nota anche online come “respectful mom”. Kristin da anni conduce seminari per genitori intitolati Welcoming the Waves of Emotions (Accettare le onde emotive), ha scritto un libro per bambini Sometimes I laugh, Sometimes I cry (A volte rido e a volte piango), e da qualche mese ha anche lanciato un corso digitale che sto seguendo sul respectful parenting. Purtroppo Kristin non parla italiano e non la posso invitare come ospite del mio podcast. Posso però tradurre uno dei suoi post più toccanti e con il suo permesso ve lo propongo nell’episodio di oggi e anche qui di seguito.
“Sono stato educato secondo metodi tradizionali e sono cresciuto bene lo stesso. Questa è una risposta molto comune delle persone che difendono i metodi disciplinari tradizionali.

Tutto sta negli standard che ti poni tu come genitore.
Se i genitori si concentrano sull’obiettivo a breve termine dell’ubbidienza immediata da parte del bambino, allora è probabile che le misure coercitive tradizionali di rimprovero e punizione dei bambini tecnicamente funzionino.
In realtà, se ci pensiamo bene, ci sono tantissimi modi in cui una persona può ottenere qualche cosa. Ad esempio, se non mi va di aspettare in fila, posso mettermi a spingere le persone che si trovano davanti a me e mettermi primo in fila. Questo meccanismo tecnicamente funziona, vero? Però c’è un motivo per cui non facciamo una cosa anche se funziona bene.
C’è un motivo per cui di solito cerchiamo di scegliere il modo migliore per ottenere un risultato, il modo più efficace, il modo più corretto. E lo stesso principio si applica al modo in cui cresciamo i nostri figli.
Molte persone dicono di essere “cresciute bene” nonostante a volte abbiano attraversato un’infanzia poco ottimale. Però bisogna anche chiedersi “che cosa si intende con sono cresciuto bene?”
Può essere che “bene” significhi che una persona è fondamentalmente in grado di vivere, ma che forse sta ancora provando a risolvere ferite aperte della sua infanzia che vengono a galla in modo soffocante? Può essere che quella persona è emotivamente paralizzata o abituata a soffocare tutte le sue emozioni, perché incapace di gestire quello che prova in maniera sana?
Forse c’è chi ha difficoltà a impostare limiti sani nei rapporti interpersonali, chi ha l’abitudine di paragonarsi agli altri, chi non fa altro che accontentare le altre persone e regolarmente ha difficoltà a rispondere ai suoi propri bisogni?
È possibile che la stessa persona che dice di essere “cresciuta bene” vive da anni con ansia, depressione o dipendenza (sia essa una dipendenza alimentare, da lavoro, sostanze, relazioni, sesso, odio di sé)?
È possibile che stia “bene” eppure è sempre irrequieto e agitato nella vita e generalmente ha grandi difficoltà a riposare. Non ha alcun contatto con il suo vero essere, porta una maschera e non è motivato.
Può essere?
È facile negare, io lo so, ci sono passata per gran parte della mia vita, ho indossato tantissime maschere del “benessere”.
Aprire gli occhi richiede coraggio.
Stiamo veramente bene? Che ne pensi?”

Ecco, le parole di Kristin mi hanno toccato nel profondo e mi incoraggiano a continuare il viaggio della maternità adottando un metodo educativo alternativo come il respectful parenting, una filosofia basata sulla fiducia e sul rispetto tra adulto e bambino.